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Più Bentley per tutti

Più Bentley per tutti
Inizia l'era del capitalismo etico. Basta con l'ostentazione volgare del lusso. Il nuovo verbo è la sobrietà. Via libera alle fuoriserie rivestite di cartone per sembrare furgoni da idraulico. È il momento del capitalismo etico. Primo effetto: all'ultimo vertice dei paesi ricchi, i primi ministri hanno consumato la cena di lavoro invitando i camerieri a sedersi a tavola con loro: Un duro colpo all'idea di privilegio di classe, che ha avuto il suo momento culminante con la gara di rutti e il pokerino finale tra le stoviglie unte. Per la cronaca, hanno vinto i primi ministri e i camerieri hanno dovuto pagare sull'unghia settemila euro. Questi gli altri provvedimenti varati, di ordine tecnico ma anche politico-culturale. 

Banche 

Da tempio della speculazione smodata, devono diventare la sede ideale del risparmio virtuoso. Basta con le filiali imponenti e lussuose, d'ora in poi gli sportelli saranno ispirati alle vecchie botteghe artigiane: una modesta vetrinetta sulla strada, un solo impiegato molto alla mano e un grosso salvadanaio nel quale i clienti infileranno le monete potendone udire il tintinnio. Gli esperti concordano: l'immaterialità della valuta è stata la causa principale della spirale debitoria, urge restituire al denaro la sua perduta sostanza. In progetto la moneta da cento euro, grande come un frisbee, e quella da mille euro, una ruota di pietra con un buco al centro per inserire i semiassi e trasportarla più agevolmente. A Natale le enormi strenne fotografiche in regalo ai clienti, in genere dedicate ai pioppeti della Lomellina, verranno sostituite da un foglio ciclostilato con una sola fotografia, sempre di un pioppo della Lomellina. Bancomat Per favorire il risparmio ed evitare prelievi inutili, i bancomat verranno ripensati. Non basta più il Pin: si deve anche abbassare una leva posta al fianco dello schermo, come nelle slot machine, e solo se verranno tre prugne o tre ciliegie si potrà usufruire del servizio. Altrimenti si perderà per intero la somma richiesta, che servirà a ripianare il buco finanziario della banca.

Licenziamenti 

Il licenziamento etico prevede una nuova prassi: la lettera che lo comunica dovrà essere rigata dalle lacrime del capo del personale, che renderanno illeggibile la cifra della buonuscita impedendo al licenziato di avanzare pretese. Il padrone allegherà alla lettera anche una sua fotografia particolarmente brutta, che dia al licenziato l'idea di profondo disagio esistenziale che il suo datore di lavoro sta vivendo.

Lusso

Con l'avvento del capitalismo etico finisce l'ostentazione volgare del lusso. Parola d'ordine: sobrietà. Già pronte sagome di cartone da applicare sulle Bentley e le Maserati per farle sembrare furgoni da idraulico. Carte da parati trompe l'oeil, con ragnatele o finte macchie d'umido, diventeranno il segno di distinzione nelle case dei ricchi etici. Molto ricercati anche i sopra-cravatta cinesi, con orribili motivi a losanghe, per avvolgere le cravatte di Marinella. Di moda le nuove lampade a raggi Uva retroversi, che assorbono l'abbronzatura appena ottenuta sulle nevi svizzere conferendo al volto un pallore da muratore moldavo. I ristoranti più costosi già servono le ricercatissime ostriche 'en travesti', avvolte in foglie di lattuga oppure VOTO nascoste nel nodo del tovagliolo. Le carte di credito non si chiameranno più Golden e Platinum ma Truciolar e Ruggine. 

Profitto 

Il profitto rimane il valore-base, ma verrà reso meno impopolare grazie all'introduzione del profitto etico: il capitano d'industria o il finanziere che ha appena incassato cento milioni di euro affamando gli operai o rovinando i risparmiatori dovrà mostrarsi molto dispiaciuto, scuotere il capo e allargare le braccia senza darsi pace. Una apposita commissione valuterà il grado di dispiacere, conferendo un ulteriore premio governativo in denaro a chi risulterà più avvilito.
© Michele Serra, www.lespresso.it (Febbraio 2009)

Oggi mentire è una virtù

Oggi mentire è una virtù
Siamo bugiardi. Mentiamo per dare di noi l’immagine migliore, per apparire affascinanti, competenti, informati. Mentiamo a volte senza rendercene conto perché fondamentale è l’accettazione sociale: vince su tutto, anche sulla verità. Mentiamo per convenzione. Bastano dieci minuti di conversazione per infilarci quasi tre bugie. Esagerazioni? No. Lo dimostra la ricerca dell’Università del Massachussetts, svolta dallo psicologo Robert S. Feldman su un campione di 242 persone e durata quattro anni che sfata anche la leggenda che vede le donne più bugiarde.
Dallo studio americano arriva un’altra imbarazzante scoperta: i più menzogneri sembrano essere i più simpatici e intelligenti, quelli che vengono invitati, ascoltati, ricercati da amici e colleghi (in altre parole, ci si fa strada sparandole grosse).
“Raccontare falsità è diventata un’abitudine che fa parte della vita di tutti i giorni. Questa sorta di legittimazione della menzogna ha stupito anche me”, commenta lo stesso Feldman. Se è così, la bugia perde il suo significato negativo e diventa la scorciatoia socialmente accettata per avere successo nei rapporti con il prossimo. E allora come la mettiamo con la verità, la trasparenza? Che fine fa quel sano impulso di sembrare ciò che si è senza falsi abbellimenti e mistificazioni? Viene da pensare che la sincerità non rappresenti più un bene assoluto. È tempo di mentire o di dichiarare chiaro e forte il valore dell’autenticità?
Maria Barretini, insegnante di Filosofia della comunicazione ed Estetica all’Università di Milano dice: “Il diritto alla verità non è a 360 gradi, va considerato a seconda delle situazioni in cui ci si trova e delle relazioni nelle quali siamo coinvolti. Esiste anche il diritto al segreto, l’esigenza di mantenere nel chiuso della propria coscienza o della famiglia qualcosa di sé. È un principio che voglio ribadire proprio in risposta a chi predica una trasparenza totale che va contro la privacy, il rispetto dell’altro, la difesa dell’intimità. Basti pensare ai vari reality-show, dove imperversa l’esibizione di sé, che di certo non rappresenta un aspetto positivo del nostro tempo.Tutta la verità e nient’altro che la verità va bene nelle sale dei tribunali ma trasportare una formula processuale in un principio etico-morale da applicare nella vita quotidiana è impensabile. Si tratta di un estremismo pericoloso, perché toglie lo spazio ai chiaroscuri, al non-detto, a quell’ambiguità indispensabile del vivere sociale. I moralisti contemporanei che condannano ciecamente qualsiasi cosa si discosti dal vero, rischiano, in realtà di creare un assolutismo spietato”.
“Forse è ora di recuperare una sorta di educazione delle relazioni. Vale la pena, oggi più che mai, di ristabilire la priorità di ciò che conta davvero: l’attenzione, la sensibilità, il garbo verso l’altro. Il che significa tenere conto dello stato d’animo del momento, delle particolari circostanze, al di là dei diktat dei paladini del Vero. Ci sono bugie che non danneggiano nessuno, che non nascondono né calunnie né spietati opportunismi e neanche la vigliaccheria dei tanti Ponzio Pilato che seppure con il silenzio cavalcano le mistificazioni. Sono le bugie bianche, le bugie bonarie, spesso altruiste, che scegliamo di dire quando la verità fa troppo male. Oppure quelle che diciamo per compiacenza. Insomma, non dimentichiamo – né facciamo finta di dimenticare – che mentire appartiene a quel linguaggio sociale che tutti conosciamo e riconosciamo e che continua a intrecciarsi nei nostri rapporti con gli altri”. Gian Paolo Caprettini, docente di Semiotica dell’Università di Torino afferma: “Non ci sono giustificazioni per sostenere l’elogio della menzogna. L’autenticità rappresenta uno di quei valori che vale la pena mantenere se desideriamo che le nostre relazioni abbiano un senso. Detto questo è indubbio che oggi siamo sollecitati a mentire soprattutto per fermare chi cerca di intrufolarsi nella nostra esistenza e per arginare il voyeurismo dilagante. Ma qui si tratta di legittima difesa. Respingo qualsiasi giustificazione che porti a fare della bugia un’abitudine accettata. Dobbiamo opporre una strenua resistenza alla menzogna e ostentare un atteggiamento controtendenza. In altre parole, occorre essere tanto sinceri da sbilanciare le strategie degli intriganti che si muovono nella menzogna e nella calunnia. Lo ripeto con forza: non sottovalutiamo l’autenticità. Perché spesso il suo effetto è dirompente, contagia anche chi è abituato a tacere o a omettere, fa uscire allo scoperto chi ha tenuto dentro di sé angherie subite per colpa di falsità altrui, trascina altre voci e altre verità. Penso che la bugia sia uno scudo per proteggersi perché, in realtà, la debolezza è di chi non riesce a contraccambiare la sincerità delle parole e delle emozioni. E accade spesso, purtroppo. Perché, con il trascorrere del tempo, l’abitudine a fingere e mentire diventa una prigione da cui non sei in grado di uscire. Alla fine si rischia di diventare burocrati dei nostri stessi sentimenti. La felicità non passa certo da qui. C’è da sperare, quindi, che ci sia ancora chi sa riconoscere il valore della sincerità”.

Italiano B2 EOI Aragón - A che serve il professore?

A che serve il professore?
Internet offre agli studenti molte più informazioni che la scuola. Ma poi c'è bisogno di qualcuno che li aiuti a cercare, filtrare e selezionare.
Nella valanga di articoli sul bullismo nelle scuole ho letto di un episodio che proprio di bullismo non definirei ma al massimo d'impertinenza - e tuttavia si tratta di una impertinenza significativa. Dunque, si diceva che uno studente, per provocare un professore, gli avrebbe chiesto: "Scusi, ma nell'epoca d'Internet, Lei che cosa ci sta a fare?".
Lo studente diceva una mezza verità, che tra l'altro persino i professori dicono da almeno vent'anni, e cioè che una volta la scuola doveva trasmettere certamente formazione ma anzitutto nozioni, dalle tabelline nelle elementari, alle notizie sulla capitale del Madagascar nelle medie, sino alla data della guerra dei trent'anni nel liceo. Con l'avvento, non dico di Internet, ma della televisione e persino della radio, e magari già con l'avvento del cinema, gran parte di queste nozioni venivano assorbite da ragazzi nel corso della vita extrascolastica.
Mio padre da piccolo non sapeva che Hiroshima fosse in Giappone, che esistesse Guadalcanal, aveva notizie imprecise di Dresda, e sapeva dell'India quello che gli raccontava Salgari. Io sin dai tempi della guerra queste cose le ho apprese dalla radio e dalle cartine sui quotidiani, mentre i miei figli hanno visto in televisione i fiordi norvegesi, il deserto di Gobi, come le api impollinano i fiori, com'era un Tyrannosaurus Rex; e infine un ragazzo d'oggi sa tutto sull'ozono, sui koala, sull'Iraq e sull'Afghanistan. Forse un ragazzo d'oggi non sa dire bene che cosa siano le staminali ma le ha sentite nominare, mentre ai miei tempi non ce lo diceva neppure la professoressa di scienze naturali. E allora che ci stanno a fare gli insegnanti?
Ho detto che quella dello studente di cui parlavo era solo una mezza verità, perché anzitutto l'insegnante oltre che informare deve formare. Quello che fa di una classe una buona classe non è che vi si apprendano date e dati ma che si stabilisca un dialogo continuo, un confronto di opinioni, una discussione su quanto si apprende a scuola e quanto avviene di fuori. Certo, che cosa accada in Iraq ce lo dice la televisione, ma perché qualcosa accada sempre lì, sin dai tempi della civiltà mesopotamica, e non in Groenlandia, lo può dire solo la scuola. E se qualcuno obiettasse che talora ce lo dicono persone anche autorevoli a 'Porta a Porta', è la scuola che deve discutere 'Porta a Porta'. I mass media ci dicono tante e cose e ci trasmettono persino dei valori, ma la scuola dovrebbe saper discutere il modo in cui ce lo trasmettono, e valutare il tono e la forza delle argomentazioni che vengono svolte sulla carta stampata e in televisione. E poi c'è la verifica delle informazioni trasmesse dai media: per esempio, chi se non un insegnante può correggere le pronunce sbagliate di quell'inglese che ciascuno crede di imparare dalla televisione?
Ma lo studente non stava dicendo al professore che non aveva bisogno di lui perché erano ormai radio e televisione a dirgli dove stia Timbuctu o che si è discusso sulla fusione fredda, e cioè non gli stava dicendo che il suo ruolo era stato assunto da discorsi per così dire sciolti, che circolano in modo casuale e disordinato giorno per giorno sui vari media - e che se sappiamo molto sull'Iraq e poco sulla Siria dipende dalla buona o cattiva volontà di Bush. Lo studente stava dicendo che oggi esiste Internet, la Gran Madre di tutte le Enciclopedie, dove si trovano la Siria, la fusione fredda, la guerra dei trent'anni e la discussione infinita sul più alto dei numeri dispari. Gli stava dicendo che le informazioni che Internet gli mette a disposizione sono immensamente più ampie e spesso più approfondite di quelle di cui dispone il professore. E trascurava un punto importante: che Internet gli dice 'quasi tutto', salvo come cercare, filtrare, selezionare, accettare o rifiutare quelle informazioni.
A immagazzinare nuove informazioni, purché si abbia buona memoria, sono capaci tutti. Ma decidere quali vadano ricordate e quali no è arte sottile. Questo fa la differenza tra chi ha fatto un corso di studi regolari (anche male) e un autodidatta (anche se geniale).
Umberto Eco - La Bustina di Minerva
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